

E' indubbiamente il reperto di tecnologia antica che più
ha suscitato impressione ed interrogativi tanto da indurre persino
qualche studioso a ritenerlo un falso. Ma quel sofisticato puzzle
di ingranaggi e ruote dentate che è il cosiddetto meccanismo
di Antikythera (sicuramente un planetario del I sec. a. C.) non
solo si è rivelato genuino ed autentico ma ha confermato
l'alto livello e la genialità degli antichi inventori del
mondo ellenistico-romano. Di questi il primo nome che viene alla
mente è naturalmente quello di Archimede di Siracusa, costruttore,
tra l'altro, di pompe idrauliche e macchine complesse, come quelle
utilizzate contro l'assedio dei Romani (212 a. C.). Ma sarebbe stato
anche, secondo la tradizione, proprio lui l'artefice dei primi esemplari
di planetari meccanici.
Altri un po' meno famosi come Ctesibio ed Erone, vissuti ad Alessandria
d'Egitto tra il III sec. a. C. ed il I sec. d. C. a conoscerli bene
destano forse ancora più stupore. Il primo fu un vero esperto
della forza idraulica: costruì geniali pompe di sollevamento
dell'acqua che insieme a quelle di Archimede vennero impiegate in
agricoltura. Ma inventò anche ingegnosi meccanismi come un
orologio ad acqua ed un organo a canne che sfruttava la pressione
idraulica.
Di Erone non si conosce molto della sua vita, neppure gli anni di
nascita e di morte. Al contrario però si conoscono molto
bene le opere da lui scritte, anche perché vennero riscoperte
e stampate con successo in età rinascimentale . Alcune di
esse, quali "Mechanikà" (oggetti meccanici), "Pneumatikà"
(oggetti che utilizzano l'aria) e "Autòmata" (meccanismi
automatici), ci descrivono molto dettagliatamente una grande varietà
di congegni che avrebbero potuto ben figurare in un codice leonardesco:
orologi ad acqua, un misuratore automatico delle distanze (odometro),
una doccia automatica a gettone, un sistema a pressione per l'apertura
automatica delle porte, alcuni meccanismi per il movimento automatico
di statuine mitologiche; ed altro ancora.
Ma l'invenzione forse più famosa di Erone è - com'è
noto - una rudimentale macchina a vapore denominata "Eolipila".
Si trattava sostanzialmente di una caldaia di forma sferica alla
quale erano collegati due ugelli posizionati in maniera diametralmente
opposta. Il vapore uscendo dai due tubicini faceva ruotare l'intera
caldaia con un movimento circolare (Geymonat L., 1970).
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Parte del meccanismo di Antikythera |
Può essere interessante allora considerare una questione
strettamente collegata a queste osservazioni e diventata ormai un
classico tema di riflessione da parte di parecchi studiosi sin dalla
prima metà del secolo scorso (p. es. da Kahrstedt, Rostovcev,
ecc.). Dal momento che la scienza e la meccanica antica erano giunte
ad un livello così rispettabile - questo in sintesi il problema
- come mai la civiltà ellenistico-romana non riuscì
a sviluppare un'economia industrializzata, come poi sarebbe avvenuto
1800 anni dopo in Inghilterra e nel resto d'Europa? Cosa avrebbe
impedito, in sostanza, agli antichi artigiani di installare motori
a vapore e macchinari automatici nelle loro botteghe di produzione
?
Secondo alcuni storici la responsabilità si dovrebbe attribuire
alla grande abbondanza di schiavi. Avendo a disposizione una manodopera
così a buon mercato, gli imprenditori dell'epoca non avrebbero
avvertito alcuna necessità di investire in tecnologia. Altri
ne vedono invece la causa nella conquista romana delle regioni orientali,
ed in particolare dell'Egitto di Cleopatra (31 a. C.), che avrebbe
disturbato in vari modi sia il naturale sviluppo economico, sia
le ricerche scientifiche delle zone più evolute del Mediterraneo,
cioè quelle orientali (Heichelheim, 1979).
Per quanto vi sia una parte di verità in queste affermazioni,
tuttavia nessuna delle due sembra una risposta esauriente. I beni
artigianali nell'antichità venivano infatti prodotti non
soltanto dagli schiavi ma anche e soprattutto - specialmente in
regioni come la Gallia o l'Egitto - da operai liberi. Senza contare
che anche la manodopera servile aveva un suo costo, per quanto basso
(Walbank,1982).
In secondo luogo se è vero che la conquista romana comportò
un certo numero di devastazioni, saccheggi e danni anche alla vita
culturale delle società ellenistiche (come nel caso dell'incendio
della Biblioteca di Alessandria, appiccato dai soldati di Cesare)
è anche vero che la successiva pace imposta da Roma e la
protezione che essa fornì alla navigazione, liberandola anche
dall'incubo della pirateria, si dimostrarono importanti presupposti
per il buon andamento economico delle regioni assoggettate.
In realtà è molto più verosimile che fossero
gli stessi imprenditori del mondo antico, anche quelli orientali,
i più ricchi ed intraprendenti, a non sentire proprio alcuna
necessità di aumentare oltre una certa misura la produzione
dei propri beni, né tanto meno di investire in nuova tecnologia.
Anche nei periodi di maggiore prosperità economica infatti
la domanda di tessuti, ceramiche, utensili, ecc., non riuscì
a raggiungere mai i livelli che avrebbe raggiunto nel mondo moderno.
Al contrario degli imprenditori inglesi che all'inizio dell'Ottocento
producevano per l'Europa, l'America e le altre colonie sparse per
il mondo - per un potenziale mercato, cioè, di oltre 150
milioni di abitanti - i produttori dell'antichità dovevano
accontentarsi di un mercato di potenziali consumatori molto più
ristretto, limitato quasi esclusivamente al bacino del Mediterraneo.
Secondo lo storico tedesco K. J. Beloch, la popolazione di tutto
l'impero romano al tempo di Augusto avrebbe infatti raggiunto soltanto
i 54 milioni di abitanti, stima per di più ritenuta da molti
esagerata. Ed oltre a ciò è comunque necessario considerare
anche altri importanti fattori che limitavano ulteriormente il potenziale
mercato.
In primo luogo buona parte della popolazione, specie quella delle
regioni più interne (come in Gallia e nella Penisola Iberica)
non si rivolgeva ai produttori orientali, o perché caratterizzata
da un'economia povera e quindi dedita all'autoconsumo, o perché
si riforniva dagli artigiani delle città più vicine.
Inoltre anche nelle zone più ricche e produttive, come quelle
orientali appunto, gran parte degli abitanti possedeva un reddito
pro capite insufficiente per l'acquisto di grandi quantità
di prodotti artigianali, anche di prima necessità. Colpa
soprattutto della carente produzione agricola complessiva, e dunque
dell'alto costo della vita. Nei due secoli a cavallo dell'era cristiana
non mancavano certo regioni come la Sicilia, l'Egitto ed il resto
dell'Africa Settentrionale dove la naturale fertilità del
suolo e le sofisticate tecniche agricole - che comprendevano anche
l'uso di macchinari idraulici come le pompe di Archimede - consentivano
buoni raccolti. Ma nelle rimanenti parti del Mediterraneo, gli attrezzi
ed i metodi di coltivazione rimasero sempre poco sviluppati, se
non addirittura ad un livello primitivo, mentre gran parte del territorio
veniva lasciato incolto, al pascolo o alla foresta.
Il prezzo dei cereali nel mondo antico rimase pertanto sempre troppo
alto - per non dire proibitivo, come ad esempio tra il 138 ed il
63 a. C. - tenendo anche conto delle carestie, delle requisizioni
militari e delle speculazioni commerciali. Come ci riferiscono gli
scrittori antichi (per esempio Teofrasto), la gente nelle città
parlava correntemente del prezzo del grano così come oggi
noi parliamo del tempo atmosferico. Nonostante non siano mancati
brevi periodi di prezzi più abbordabili (come ad esempio
intorno alla metà del III sec. a. C.), si può proprio
affermare che la produzione complessiva di beni alimentari nel mondo
ellenistico-romano si dimostrò generalmente insufficiente,
non tanto per le prioritarie necessità degli apparati burocratico-militari,
quanto soprattutto per la maggior parte della popolazione che consumava
tutto il suo reddito per la spesa alimentare (Heichelheim, 1979).
A ridurre ulteriormente il potere d'acquisto dei consumatori pensavano
poi le numerosissime tasse (anche quelle precedenti la conquista
romana) che a causa degli alti prezzi dovevano risultare ancora
più gravose, anche quelle apparentemente lievi. Sotto il
suo principato, ad esempio, Ottaviano Augusto introdusse un'imposta
dell' 1 per cento sulle vendite (cioè qualcosa di simile
alla nostra IVA). Dopo la sua morte il popolo chiese al nuovo imperatore
Tiberio di abolirla, ma come ci racconta lo storico Tacito, il nuovo
Augusto non poté acconsentire a tale richiesta, giustificandosi
dicendo che il mantenimento dell'esercito dipendeva tutto da quella
tassa ("militare aerarium eo subsidio niti") (Mazzarino,
1980).
Nulla di paragonabile dunque con le condizioni sociali ed economiche
dell'Europa nel XVIII secolo, all'alba della rivoluzione industriale.
Gli enormi progressi nella produzione agricola che l'Europa aveva
sperimentato a partire dal periodo carolingio (IX secolo) con il
progressivo miglioramento degli attrezzi agricoli, con l'introduzione
di nuove specie vegetali a più alta resa (compresi i prodotti
provenienti dall'America), ma soprattutto con l'inarrestabile estensione
delle zone coltivate (fino alla quasi totale scomparsa delle foreste)
consentì sia di sostenere una popolazione di molto superiore
ai 100 milioni di abitanti, ma anche di accrescere il potere di
acquisto di vasti strati sociali, complice proprio il prezzo relativamente
contenuto dei beni di prima necessità. Di qui l'accrescimento
della domanda di beni diversi da quelli alimentari, quali tessuti,
suppellettili, ecc., che indusse gli imprenditori a meccanizzare
sempre più i sistemi di produzione.
Sulla base di queste considerazioni è quindi plausibile
affermare che anche nei periodi di più intensi scambi commerciali
nel mondo antico - quale furono appunto il I sec. a. C. ed il I
d. C. - la domanda di prodotti artigianali si mantenesse ben al
di sotto di una certa soglia critica, e dunque che gli imprenditori
dell'epoca non trovassero conveniente nessun altro investimento
se non quello di procurarsi altra manodopera a buon mercato. Proprio
in quel periodo gli schiavi erano abbondanti e poco costosi in conseguenza
delle numerose guerre di conquista intraprese dai Romani, e gli
imprenditori dell'epoca ne approfittarono. Per loro non sarebbe
stata di alcuna convenienza adottare le costose tecnologie di Erone.
E' significativo del resto che l'unico esempio di rudimentale meccanizzazione
dell'epoca si verificasse nella produzione alimentare. Proprio nei
due secoli a cavallo dell'era cristiana comparvero infatti in varie
parti dell'impero (Egitto, Provenza, forse anche nella stessa Roma)
i primi mulini ad acqua per la macinazione dei cereali (Stevens,
1976). Chiaramente la domanda di farina per una popolazione di parecchi
milioni di abitanti rendeva evidenti i grossi limiti produttivi
della forza muscolare, animale o servile che fosse, ed allo stesso
tempo rendeva conveniente applicare l'energia delle ruote idrauliche
(fino ad allora usate solo per gli acquedotti e per l'agricoltura)
per la macinazione dei cereali. Qualcosa di simile d'altra parte
avvenne anche nella seconda metà del XVIII secolo nei Caraibi,
allorché vennero introdotte delle macchine a vapore in Giamaica
(1768) ed a Cuba (1797) - in regioni quindi caratterizzate da un'economia
servile - per macinare le notevoli quantità di canna da zucchero
coltivate in quelle isole dagli schiavi (Masefield, 1975).
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Ricostruzione della macchina a vapore di Erone di Alessandria |
In conclusione, mi sembra infine opportuno concordare con quanto
affermano alcuni studiosi, come ad esempio Price, circa la sorte
della tecnologia antica. Si sa cioè che meccanismi analoghi
al planetario di Antikithera sopravvissero durante i secoli bui
dell'Alto Medioevo nei territori bizantini, persiani e musulmani,
come ad esempio quello ammirato dall'imperatore bizantino Eraclio
nel VII sec. d. C. (Hatcher Childress, 2000). Non è da escludere
che qualcuno di essi possa essere stato portato in Europa Occidentale
nel periodo delle crociate contribuendo così all'invenzione
degli orologi ed alla sviluppo delle tecnologie meccaniche (inizio
XIV secolo).
Anche l'antica macchina a vapore di Erone, l'Eolipila, qualche secolo
dopo, nel Seicento, ottenne però una "seconda possibilità".
Nel 1615 in un'opera edita a Francoforte, "Raisons des forces
mouvantes", un certo Salomon de Caus, appassionato studioso
degli antichi inventori alessandrini, riferì di aver costruito
una macchina che ricordava appunto quella di Erone, fornendone anche
molteplici esempi di applicazioni pratiche. Le sue aspettative immediate
si rivelarono tuttavia illusorie, forse a causa - anche qui - di
un mercato di consumatori numericamente insufficiente ed impoverito
dalle guerre, carestie ed epidemie che imperversarono in ogni angolo
d'Europa per tutto il XVII sec. Nemmeno altri illustri costruttori
di macchine a vapore, come il marchigiano Giovanni Branca, intorno
al 1630, ed il marchese di Worcester verso il 1660, riuscirono a
diffondere la nuova tecnologia in anticipo sui tempi. Fu necessario
attendere gli studi del francese Denis Papin e dell'inglese Thomas
Savery alla fine del medesimo secolo perché le prime "pompe
a vapore" venissero utilizzate per drenare l'acqua nelle miniere
inglesi all'inizio del Settecento (Mantoux, 1981).
Come per il meccanismo di Antikythera, tuttavia, forse non è
esagerato affermare che la caldaia semovente di Erone, studiata
- come già detto - nel Rinascimento insieme a tutte le altre
geniali invenzioni antiche, abbia contribuito a promuovere in età
moderna sia gli studi sul vapore, sia dunque, indirettamente, anche
la rivoluzione industriale.
Bibliografia:
- Geymonat L. Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti,
1970, p. 299 e segg. (Descrive le opere di Erone e Ctesibio, mentre
alla p. 250 e segg. parla di Archimede e del mancato sviluppo industriale
nell'antichità).
- Heichelheim F. H. , Storia economica del mondo antico, Laterza,
1979, vol. IV, p. 689 e segg. (Discute i difetti dell'economia ellenistico-romana
riportando le opinioni di diversi storici; a partire dalla pagina
720 riporta le notizie sulle difficoltà dei rifornimenti
alimentari, e dalla pag. 875 le condizioni dell'agricoltura antica.
Naturalmente sono state proposte anche altre motivazioni, come la
troppo meticolosa programmazione dell'economia in alcune regioni,
come l'Egitto pre-romano, la forte concorrenza produttiva dei latifondi
a danno delle città specie nel I secolo d. C., o le gravi
svalutazioni monetarie sempre di questo periodo. Ma più si
confronta l'economia antica con quella medioevale e moderna e più
ci si rende conto che il vero problema di fondo non può essere
ricondotto a nessuno di questi).
- Walbank F. W., Commercio e industria nel tardo Impero Romano d'Occidente,
in: Storia Economica Cambridge, Einaudi 1982, vol II, p. 42 e segg.
(Dà informazioni sul lavoro libero e servile dell'artigianato
del I sec. d. C.).
- Glass D. V., La popolazione mondiale dal 1800 al 1950, in: Storia
Economica Cambridge, Einaudi 1974, vol. VI, p. 78 e segg.
- Cole W. A., Deane Ph., La crescita dei redditi nazionali, in:
Storia Economica Cambridge, Einaudi 1974, vol. VI.
- Dovring F., La trasformazione dell'agricoltura europea, in: Storia
Economica Cambridge, Einaudi 1974, vol. VI.
- Mazzarino S., L'Impero Romano, Laterza 1980, vol. I, pp. 91-92.
(Viene riportato l'episodio di Tiberio e della "centesima venalium",
la tassa sulle vendite).
- Stevens E. C., Agricoltura e vita rurale nel tardo impero romano,
in: Storia Economica Cambridge, Einaudi 1976, vol. I, p. 128. (Riporta
le notizie sulle pompe di Archimede in Africa; a p. 125 dà
invece informazioni sui mulini idraulici nell'impero).
- Masefield G. B., Prodotti agricoli e bestiame, in: Storia Economica
Cambridge, Einaudi 1975, vol. IV, p. 336. (Riporta le notizie sulle
macchine a vapore in Giamaica ed a Cuba).
- WWW.ANTIKITERA.NET, Gennaio 2003, news n. 2, (circa la teoria
di Derek Price sulla sopravvivenza dei planetari antichi nel medioevo)
- Hatcher Childress D., Le scoperte scientifiche delle antiche civiltà,
Newton e Compton 2000, p. 94 (riporta l'episodio del planetario
del VII sec. citato dallo storico Cedreno in: Tomas A., We are not
the first, London, Souvenir Press, 1971).
- Cipolla C. M., Storia economica dell'Europa pre-industriale, Il
Mulino 1974, p. 193 e segg. (Fornisce informazioni sull'invenzione
degli orologi nell'Europa medioevale).
- Mantoux P., La rivoluzione industriale, Editori Riuniti, 1981,
p. 395 nota 5 (fornisce informazioni su Salomon de Caus e gli altri
inventori di macchine a vapore nel XVII sec.).
di Ignazio Burgio
iburgio@yahoo.it




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